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“Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno

vede la violenza degli argini che lo costringono”

[Bertolt Brecht]

Chiaramente, da un punto di vista prettamente teorico, è molto complesso il cercare di sistematizzare una tendenza, quale è poi quella anarchica, in una sorta di progettazione futura, o comunque di finestra sul mondo nuovo che si intende creare. Personalmente, non so neanche fino a che punto il concetto di società inteso generalmente sia valido nelle attuali implicazioni geopolitiche e storiche; quello che però è appurato da tempo, ossia il fatto che l’essere umano, per poter distruggere ed annichilire l’esistente, o semplicemente soddisfare i propri bisogni, necessiti della collaborazione degli altri, non credo che possa essere neanche idolatrato, come ci è capitato di osservare con molti teorici del cosiddetto “anarchismo sociale”. Certo, concordiamo tutt* che uno sviluppo massificato della società, presente nell’attuale scenario mondiale, genera, almeno da un punto di vista strettamente materiale, una interdipendenza tra individui di non poco conto; per quel che mi riguarda, tale esigenza di “fusione” dell’ego con il super-io sociale non è però correlabile in alcun modo con gli effetti annichilenti che la tecnologia, e soprattutto i mezzi di comunicazione, stanno avendo sull’individuo in quanto ente a se stante. Se da una parte la tendenza di fusione è qualcosa di connaturato nella società antiautoritaria e non riduce la libertà individuale, bensì la amplifica, nella attuale conformazione strutturale collettiva si è arrivati, invece, ad uno snaturamento di tale sintesi; l’essere umano, con la banale scusa della necessità di interconnettere le informazioni, ottimizzare i tempi e l’efficienza delle strutture, sta progressivamente perdendo quell’area individuale, connotata generalmente con il termine “privacy”, che lo rende unico e soprattutto favorisce, in gran parte, la stessa sanità mentale del soggetto. Se si da una occhiata agli scritti dei cosìddetti “economisti borghesi”, come Rifkin, si legge che in questa interconnessione globale ogni aspetto della vita dell’individuo è messo in mano, casualmente, ad un controllo statale (il quale chiaramente ne gestirà i dati) in nome di questa filosofia assurda che è il collaborativismo; la fine della privacy, della sfera individuale come autentica espressione dell’Ego, si risolve con la banale giustificazione del fatto che essa è retaggio di una società capitalistica e borghese. Peccato però che una analisi del genere, sorvolando anemicamente sul concetto di libertà individuale, potrebbe essere compresa (ma mai fondamentalmente accettata!) solamente in un’ottica in cui la gestione delle informazioni connesse fosse sciolta dal controllo statale e centralizzato, e destinata solo ad un utilizzo individuale a cui ogni soggetto può fare ricorso o meno. Presupporre una neuroconnessione (sic!) globale non solo ci serve, con l’esistenza pestifera dello Stato, una perfetta prospettiva fantascientifico-apocalittica, bensì fa riflettere sulle vere intenzioni del sistema capitalistico e delle sue mire profittuali. Realisticamente, penso che l’avanzamento di tutte le innovazioni appartenenti al ramo della Green Economy sia inarrestabile a livello di sviluppo di Mercato proprio perchè esso presenta una necessità strutturale del capitalismo stesso; d’altra parte, la storia ha dimostrato ampiamente come non basti attaccare frontalmente ed annichilire a livello materiale le strutture (il luddismo ne è un celebre esempio), sia perchè la velocità di sviluppo di esse è esponenzialmente maggiore rispetto alla velocità primitiva di sabotaggio o distruzione, sia perchè lo Stato dispone di capitale innumerevole che gli permette ogni volta di re-incentivare il ciclo produttivo tecnologico. Se da un lato tale progresso appare inarrestabile, e sempre se nuotiamo in una visione conflittuale, per quanto mi riguarda diventa indispensabile fare un ampio utilizzo di tali tecnologie, le quali, oltre che dare una enorme mano alla lotta armata (un immaginario non così lontano potrebbe essere la progettazione e la produzione di esplosivi ed ordigni grazie all’ausilio delle stampanti 3D), si necessita di conoscerle anche per proteggersi da esse; diventa indispensabile, quindi, per ogni compagni* possedere ottime conoscenze riguardo alle piattaforme informatiche e tecnologiche. Sapere come il nemico gestisce la strutturazione sociale ed economica si configura come fondamentale per combattere la stessa ed annichilirla. Non ci “impadroniamo” delle loro armi perchè antisociali o antiautoritarie, o perchè possediamo qualche ingenua illusione di emancipazione tramite il progresso, bensì perchè non “impadronirsene” significherebbe essere condannati a combattere un nemico invisibile e sconosciuto.

Tale sviluppo, però, non è qualcosa di imprevedibile; esso è prodotto di una precisa fase storica di configurazione del capitalismo in globalizzazione strutturale. Questa nuova forma che ha assunto la dominazione dell’uomo sull’uomo non può che portare necessariamente ad una nuova conformazione della lotta stessa e delle metodologie con cui annichilire il potere. Da sempre nell’ambito dei movimenti per la rivoluzione sociale la discussione sulle forme organizzative o non-organizzative è stato al centro di un furioso dibattito che nemmeno oggi sembra esaurirsi. Per quanto mi riguarda, quella che oggi osservo come alternativa piu’ valida di lotta è la cosiddetta tendenza anarchica informale. I compagni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, nel discutissimo documento intitolato “Diventiamo Pericolosi“, così espongono la loro programmazione di una tendenza anarchica organizzativa informale, che, come punto di partenza di analisi è, a parer mio, assai indicativa:

“Iniziamo identificando un punto di partenza. Per noi, esso è l’organizzazione informale anarchica.

I) Informale, perché disprezziamo le condizioni e le norme dei ruoli predefiniti e gli statuti organizzativi. I ruoli dell’oratore che cattura il pubblico nelle assemblee, del ladro, del bombarolo, dell’autore dei comunicati e dell’incendiario, dividono e frantumano la vita e le

nostre capacità. L’autorità informale dei ruoli, che spesso abbiamo incontrato nei circoli anarchic*, è più insidiosa di quella istituzionale, visto che rimane ben camuffata e cosi invisibile e invulnerabile. Noi diciamo TUTTO PER TUTTI. Ognuno/a di noi, lontano da ruoli e specializzazioni, può sviluppare le sue competenze e testarle tramite la vicinanza tra compagni…rapine, attacchi incendiari, esplosivi, esecuzioni, testi, conversazioni e altre forme di espressione che promuovano la nuova anarchia.

II) Anarchica, perché siamo anarchic* e non vogliamo capi o seguaci. Creiamo la cospirazione degli uguali, operando tramite piccole e flessibili cellule d’azione diretta, che favoriscono il dibattito circolare piuttosto che il modello centralizzato dell’organizzazione che finisce in piramidi burocratiche e comitati gerarchici di autorità.

III) Organizzazione, perché crediamo nell’insurrezione anarchica continua e nella guerra all’autorità. Se vogliamo intensificare la guerra permanente contro i padroni delle nostre vite, dobbiamo organizzarci. Vogliamo creare una rete informale internazionale di cellule d’attacco, che suggeriranno, pianificheranno e coordineranno, agendo autonomamente, evolvendo e aiutandosi nel promuovere la possibilità dell’anarchia.”

Tale proposta organizzativa non è tanto una forma statica di impostazione, bensì, superando il dogmatismo centralista delle filosofie marxiste, si intende proporre un nuovo modello di metodologia anarchica che neghi a gran voce la paralisi ideologica e si configuri come sviluppo “in divenire” dei vari modelli di lotta; Kropotkin a ragione asseriva che la società umana rifiuta le forme cristallizzate. E’ proprio questo problema, ossia il dogmatismo metodologico, che provoca l’assenza di incisività; un esempio lampante è quello del tentativo di ricomporre il cosiddetto Partito Comunista. Non si può pensare ancora oggi, in un momento storico dove tra l’altro la composizione di classe si è sviluppata in una maniera estremamente peculiare rispetto al passato ed inaspettata, di radunare le masse sotto un grande partito unico che le guidi nella strada verso il socialismo reale. Ciò, oltre che non generare una critica radicale alla società divisa in classi, rimane configurato entro la sfera economica, che, per carità, ha la sua valenza fondamentale nello sviluppo storico; il problema però è soprattutto il fatto che non si cerca in alcun modo di contrastare il potere e di annichilirlo, bensì lo si fa passare dalle mani della borghesia a quelle del proletariato. La presa del potere politico non solo non risolve alcun problema della società autoritaria, bensì ricrea altre classi, altri ricchi, altri sfruttati, altri genocidi, altre guerre. Si deve criticare radicalmente tale impostazione proprio perchè non esegue una analisi sociale a trecentosessanta gradi; essa si limita solo alla sfera di sviluppo economico e di mezzi di produzione. Inoltre, se prima poteva essere compreso questo modus operandi, visto che comunque la condizione sociale ed economica del proletariato era in generale omogenea e simile in tutti i paesi a capitalismo avanzato, oggi, lo smembramento di questa stessa classe sociale ha portato a produrre interessi divergenti tra i/le var* lavoratori/trici, i quali non solo non sentono piu’ l’appartenenza ad una condizione comune, bensì producono una guerra di tutti contro tutti all’interno dei propri ranghi. Personalmente credo che la paura di Bakunin sul possibile imborghesimento del proletariato si sia realizzata in maniera alquanto chiara; se prima si poteva ragionare in una ottica massificata viste le grandi moltitudini di sfruttati che, come bestie, entravano in fabbrica, si marchiavano, sgobbavano come muli, uscivano stremati, ritornavano a casa, dormivano, e il giorno dopo ricominciavano lo stesso itineriario, nel mondo globalizzato occidentale tale condizione non esiste piu’ nella forma della grande fabbrica che contiene tutt* i/le lavoratori/trici; chiaro, non si sta afferamando che non ci siano piu’ sfruttati e nemmeno che vi sia una deindustrializzazione. Anzi, proprio perchè vi è una maggiore industrializzazione tecnologizzata, la vecchia classe operaia sta svanendo. Il punto cruciale di tutta l’analisi consta proprio nell’individuazione del fatto che condurre la guerra come si è fatto per tutto il Novecento non solo non risponde ai bisogni reali dei/lle proletar* d’oggi, ma non tiene neanche conto dei mutamenti strutturali della società e del capitale. Escludendo poi che il centralismo sia mai riuscito nei suoi intenti, la nuova forma di lotta anarchica deve essere esplicita e chiara. L’assenza del centralismo non solo distrugge qualsiasi pretesa autoritaria all’interno degli stessi nuclei di combattenti; essa ripropone l’autodeterminazione individuale dei soggetti che con la loro volontà e le loro armi decideranno di attaccare lo Stato e le sue istituzioni. L’ottica, insomma, che voglio con questo scritto far risaltare, è proprio quella secondo la quale l’essere umano futuro non piove dal cielo una volta preso il potere o distrutto lo stato, bensì si inserisce all’interno di una crescita personale che ha sviluppo in seno alla lotta stessa. Il/La rivoluzionari*, l’anarchic*, si forgia combattendo le sue battaglie, e, superando continuamente le sue contraddizioni, migliora e cancella l’insinuazione del potere in ogni ambito della sua esistenza. E’ proprio per questo motivo che, parafrasando Bonanno, l’anarchia va intesa non come ideologia, ma come tendenza, una sorta di “ideale regolatore”. Siamo tutt* chiaramente consci del fatto che una condizione pienamente antiautoritaria sia irrealizzabile in questo mondo; ciò però non priva in alcun modo le persone dal tendere proprio a tale utopia, per concretizzarla nei limiti del possibile, estendendola a libertà assoluta giorno per giorno. Una proiezione, insomma, verso l’infinito; un infinito che migliora le condizioni reali degli sfruttati e che li libera dalle catene mentali e dal ricatto economico di una società fondata sulla paura, sull’assopimento della volontà. E’ proprio la volontà che bisogna riscoprire quale strumento fondamentale di lotta, quale parte indispensabile dello sviluppo individuale; molto spesso una visione estremamente deterministica ha tentato di privare lo sviluppo storico della determinazione soggettiva, facendo perdere importanza ad essa a favore del condizionamento economico e sociale. Sono d’accordo sul fatto che determinate situazioni strutturali e sovrastrutturali programmino in maniera assoluta l’intera società; dopotutto siamo tutt* figl* del nostro tempo. Il nostro modo di pensare, di agire, di amare, di relazionarci, tutto ciò è condizionato dall’epoca in cui siamo immersi e nuotiamo; anche le catene e i ricatti economici, come l’avere una famiglia da sfamare, una persona che si ama e che non si vorrebbe perdere per nulla al mondo mettendosi in gioco e rischiando la propria libertà, se non la vita, sono punti fondamentali da non trascurare. Ma, come si può osservare quotidianamente, ogni catena, ogni freno che ci poniamo inconsciamente o meno, diminuisce inevitabilmente la nostra capacità effettiva e sentimentale di agire contro questo mondo, contro la società stessa. E siccome non si può in alcun modo sorvolare e schioccare le dita per annientare queste barriere, la lotta va indirizzata anche sulla liberazione individuale da queste chimere; organizzarsi in comunità, creare realtà alternative ed antiautoritarie, uscire insomma dalla città per quanto sia possibile e fattibile, diventa a parer mio strumento indispensabile per attraversare il fiume autoritario e sboccare nel mare della libertà soggettiva. Strumenti utili, per quel che mi riguarda, sono appunto l’autoproduzione, la riscoperta della Natura in quanto reale produttrice di ricchezza, il progressivo annichilimento del giogo del lavoro. Siamo tutt* consci/e che tali obiettivi siano duramente realizzabili per la maggior parte delle persone; eppure anche questi vanni intesi, a parer mio, come tendenze e non come realizzazione immediata ed assoluta. Neanche la persona con piu’ disponibilità economiche o territoriali potrebbe comunque riuscire a liberarsi totalmente dal ricatto economico; una condizione simile apre la finestra al fatto che, sia l’autodeterminazione materiale, come intendiamo questo tentativo di liberazione dalla società, sia il permanere nella situazione di annichilimento psicofisico della città, non possano portare ad alcun risultato se presi separatamente. E’ proprio nella fusione, nella composizione di queste due metodologie, che si può a parer mio ritrovare l’incisività necessaria per distruggere la società e le sue catene. Uscire per quanto possibile dalle logiche di mercato, liberarsi anche solo parzialmente della influenza statale sulla propria pelle, organizzarsi con affini, e colpire, colpire, colpire l’esistente e i suoi tentacoli. Solo in questa insurrezione continua, insurrezione che non ha l’ingenua pretesa di instaurare un nuovo ordine, un nuovo potere, bensì che proiettando la lotta verso l’autorità, la annienta e si libra nel Nulla nello stesso momento. Insurrezione significa parlare, l’autorità consiste nel pensare di avere tutte le risposte giuste”, dicono i compagni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco. Ed è proprio per questo rivoltarsi, rompere i legami con la società, che noi anarchic* dobbiamo scordarci la presuntuosa pretesa di possedere intrinsecamente il sacro verbo della Rivoluzione; questa è anche una autocritica: tutt* noi continuiamo, a causa dell’esistente, a cercare forme di lotta definitive che distruggano una volta per tutte la società divisa in classi. Eppure, è questa impostazione che ci porta a perdere piano piano incisività, come detto ad inizio capitolo; motivo per cui, il dibattito, la comunicazione, la solidarietà internazionale tra i vari nuclei guerriglieri, tra le varie cellule rivoluzionarie, è l’unico modo con cui si può evitare lo stagnamento ideologico e la cristalizzazione. Cristalizzazione pericolosa, tra l’altro, anche negli strumenti con cui condurre l’insurrezione; non penso in alcun modo che l’incisività di una azione sia determinata dal grado di violenza dell’azione stessa. Bisogna uscire dal mito delle armi, e ritornare un attimo coi piedi per terra; vi sono momenti in cui un libro, un opuscolo, possono causare piu’ danni alla società che decine di attacchi incendiari. Ciò proprio perchè la capacità e la bravura dei/lle compagn* deve essere quella di analizzare correttamente la condizione presente ed in base a quella scegliere gli strumenti piu’ adatti con cui danneggiare il potere. Proprio per questa eterogenità storica, l’informalità ci protegge da pericolosi errori a cui il centralismo non si sottrae. Occhio, però, a non confondere la comprensione della fase con i “non è il momento adatto”, o i “così non comunichi nulla”, i quali, invece che critiche reali finalizzate ad un incremento del livello di tensione, sono scuse dietro le quali si nasconde la paura di agire e l’assopimento della volontà. Il nostro compito non è quello di aspettare il momento sacro della liberazione, l’Armageddon antiautoritario; nostro compito è quello di attaccare senza tregua la società e lo Stato con ogni azione nella vita di ogni individualità ed ogni mezzo disponibile.

Non rifiuto, inoltre, lo spontaneismo in quanto, come affermavano correttamente i/le compagn* greci/che, essa non implica mancanza di organizzazione; quest’ultima è ormai decisivamente provata come strumentazione necessaria alla lotta rivoluzionaria. Agire spontaneamente non significa agire in maniera disorganizzata o impulsiva; significa esaudire un desiderio di realizzazione della propria individualità che si priva della tinta moraleggiante borghese ed esige la sua condizione di libertà ora e subito; è sentimento profondo di emancipazione, di estensione della propria volontà.

Altro mito da sfatare, per quanto mi riguarda, è quello del martirio rivoluzionario; tutt* siamo consci/e del fatto che la prigione è una possibile configurazione nel futuro degli/lle anarchic* in quanto la repressione è da sempre uno degli strumenti utilizzati dall’autorità per frenare i tentativi di liberazione individuale. Ciò però non deve scadere in una sorta di battesimo del fuoco o percorso obbligato: si deve in tutti i modi evitare la carcerazione in quanto essa diminuisce le nostre capacità d’azione e possibilità effettive di incidenza; bisogna anche cancellare definitivamente il mito dell’intellettuale libertario che da dentro le gabbie produce scritti e guida i/le compagn* fuori con le proprie perle. Questa visione, oltre che essere dal mio punto di vista disgustosa, porta verso un elitarismo inquietante nei confronti dei/lle rivoluzionar* catturat* dalla piovra statale; come non ci si può dimenticare dei/lle prigionier*, altrettanto non bisogna mitizzare il carcere e i carcerieri, quali pedigree per una corretta pratica anarchica. Non esiste che in un movimento antiautoritario qualcun* detti la linea; figuriamoci se a farlo è qualcun* che vive in un mondo sospeso quale è la prigione.

La lotta per la vita, la lotta rivoluzionaria non può in alcun modo fermarsi ad una mera proposta di analisi; la teoria senza pratica è un qualcosa di già morto appena partorito. Motivo per cui si incentiva, con questo breve scritto, tutt* i/le compagn* guerriglier* a prepararsi, organizzarsi ed attaccare con ogni mezzo la piovra statale e la società autoritaria; l’insurrezione non inizia domani o in un lontano futuro preparatorio; l’insurrezione è un momento, uno spiffero di libertà in questo mondo vuoto e privo di qualsiasi sentimento genuino; è realizzazione di sé, del proprio ego, della propria individualità. E’ atto liberatorio nella sua forma piu’ alta; è negazione dell’esistente attraverso l’elevazione della propria volontà e della decisione di non sottomettersi ad alcun agente esterno; è rivendicazione della propria identità di individuo, di soggetto che si autodetermina. E’ fuoco che annichilisce e purifica; fuoco di rivolta e di insubordinazione. Fuoco non piu di resistenza passiva, ma di attacco diretto, incisivo e permanente. Tutto per la vita! Tutto per la libertà!

So, when these gentlemen say, ‘You are utopians, you anarchists are dreamers, your utopia would never work’, we must reply, ‘Yes, it’s true, anarchism is a tension, not a realisation, not a concrete attempt to bring about anarchy tomorrow morning’. But we must also be able to say but you, distinguished democratic gentlemen in government that regulate our lives, that think you can get into our heads, our brains, that govern us through the opinions that you form daily in your newspapers, in the universities, schools, etc., what have you gentlemen accomplished? A world worth living in? Or a world of death, a world in which life is a flat affair, devoid of any quality, without any meaning to it? A world where one reaches a certain age, is about to get one’s pension, and asks oneself, ‘But what have I done with my life? What has been the sense of living all these years?’”

[Alfredo. M. Bonanno]

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Qui di seguito troverete un altro testo, sempre della Cospirazione delle Cellule di Fuoco (della prima generazione), estremamente interessante sulla nuova guerriglia anarchica, dove si propone un modello di lotta estremamente originale e differente rispetto a quello che ha sempre caratterizzato il cosiddetto “anarchismo sociale”; chiaramente il tutto si inserisce nel già citato dibattito tra quest’ultimo e quello nichilista. Da studiare a fondo e discutere abbondantemente vista la mole di riferimenti e contenuti.

Spesso quello che la gente odia di più è proprio quello specchio che ha di fronte, lo specchio che riflette i compromessi che ha fatto e il suo intento fallito di essere all’altezza delle proprie aspettative. [CCF, La Nuova Guerriglia Urbana Anarchica]

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Propongo questo testo della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, preso da Contrainfo, poichè ritenuto dal sottoscritto molto interessante e degno di essere posto alla base del dibattito che in questi anni si è acceso tra l’anarchismo sociale e quello nichilista. Un testo forte che chiaramente non “perdona” nessuno e che merita veramente di essere letto nonchè fatto proprio e assimilato fino a fondo.

“La libertà non esiste. Non in questo mondo. In questo mondo c’è solo la lotta per la libertà. E cosa significa essere liberi? Libero è chi non ha paura di uccidere o morire in nome della libertà” Cospirazione delle Cellule di Fuoco FAI-FRI Cellula dei membri prigionierx Grecia – Prigione di Koridallos (Dicembre 2013)

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