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“La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra.”

[Mao Tse Tung]

Dallo scorso primo Maggio si è accesa nel mondo della comunicazione sociale mainstream una diatriba sugli scontri che si sono verificati in occasione del corteo NoExpo; da bravi cittadini del pensiero democratico, chiunque si è sentito chiamato in causa e ha detto la sua, contribuendo in tal modo a produrre un notevole calderone di idiozie e mistificazioni insulse. Tra chi gridava ai “Black Bloc” (ossia qualsiasi soggetto si vesta di nero con un cappuccio o un casco), chi solidarizzava con le forze del disordine e chi discuteva su quanti anni di carcere i “violenti” si meritassero, ci si è presto dimenticati del fattore basico della partecipazione a quella giornata; sì, perchè tra sessanta milioni di persone che hanno potuto esprimere la loro opinione, i partecipanti effettivi a quel corteo non hanno superato i trentamila, un numero veramente esiguo se si pensa alle catastrofiche previsioni sul possibile reload di Genova 2001 che si riteneva si sarebbe quasi sicuramente verificato. Si parlava di possibili morti, eppure l’unica cosa uscita morta da quel giorno è stata la dignità di quegli idioti che si sono messi in strada il giorno dopo a pulire le scritte da bravi schiavi obbedienti e sottomessi.

Se la matematica non inganna, trentamila su sessanta milioni è circa lo 0,05% della popolazione, quindi una cifra nettamente inferiore alla percentuale delle persone che hanno vomitato sentenze taglienti a destra e a sinistra, pur non conoscendo minimamente le dinamiche.

Eppure, ciò non mi stupisce ed è naturale oggigiorno; lo è in quanto tutti, pur non essendo stati presenti quel primo Maggio, sono abilitati dal sacro Spirito della Libertà d’Espressione a parlare di qualsiasi cosa e criticarla pur non conoscendone neanche i piu’ superficiali sviluppi; lo è in quanto anche tra i “compagni” della “magnifica sinistra” italiana le condanne e le delazioni sono piovute come i lacrimogeni sui manifestanti durante il pomeriggio di quel Venerdì; lo è in quanto si critica ogni azione insurrezionale solo perchè non corrisponde al purismo ideologico di alcune aree politiche “dure” ed “irriducibili” nella loro teoria marxista; lo è in quanto non si comprende che non è piu’ accettabile credere che compiere atti di guerriglia sia controproducente solamente perchè nelle televisioni, o sui media borghesi, in generale ogni azione concreta e diretta viene sventrata, mistificata, dipinta di colori non propri ai nostri fini. Quel primo di Maggio, con tutti i grandi limiti che ha presentato, si è dimostrato che la nostra realtà politica, per quanto possa essere eterogenea e molto spesso diversificata sul piano tattico e pragmatico, presenta elementi determinati e granitici, i quali sono disposti ad andare fino in fondo quando necessario. Ridurre i tafferugli di quel pomeriggio a semplice vandalismo significa non aver afferrato il valore politico di un’azione di annichilimento dell’esistente collettiva, che superava le differenze ideologiche e politiche. Il fatto che quel giorno non ci fossero i famigerati ed inesistenti “Black Bloc”, bensì compagni di varie aree che lottavano fianco a fianco, fa comprendere quanto sul terreno comune dell’insurrezione non vi sia teoria politica che regga: o si combatte o ci si tira indietro. E lì, proprio sotto i lacrimogeni e le sassaiole, c’era la voglia di distruggere alla base questo sistema, non da parte di una avanguardia idealizzata o altro, bensì da parte del proletariato stesso, il quale, essendo presente quel giorno in piazza, ha indirizzato la sua rabbia verso i simboli del potere e del capitalismo. Si può condividere o meno la pratica guerrigliera attuata quel giorno; si può discutere per eoni su quanto sia stata incisiva come lotta pratica; si può anche continuare a rimanere scettici sull’utilità effettiva di tali azioni; quello che non si può fare è condannare in nome di qualsiasi ideologia astratta e surreale una pratica che alcuni compagni hanno utilizzato rischiando la propria pelle. Agire in tal modo significa essere delatori, dissociati; significa essere peggio della borghesia, che tanto si critica con orgoglio sinistroide, e della sua indignazione ipocrita; significa essere infami e reazionari; significa non essere compagni.

Quella Milano ha dato una dimostrazione chiara e lampante di chi ha genuine intenzioni rivoluzionarie e chi, invece, utilizza il dissesto sociale e la lotta di classe come pretesto per effettuare becero entrismo nel potere politico. L’atto insurrezionale, per quanto a Milano questa pratica sia stata comunque isolata e non continuativa, è innegabile che generi un valore aggiunto al nuovo percorso che si sta delineando in questi mesi in Italia, ossia di ribellione sempre piu’ tesa al mutamento reale della condizione in cui versano gli oppressi. Solo con la rivolta si può pensare di generare un cambiamento reale nella strutturazione storica e sociale; solo così si produce quel punto di rottura nella Storia tale da chiamarsi Rivoluzione. Con ciò non si sta idealizzando un evento comunque esiguo come quello di Venerdì; si sta solo cercando di dare il peso che merita ad una forma che la composizione di classe ha assunto in tal giorno e che non riguarda un gruppo isolato di ragazzini esaltati, bensì una intera classe sociale che, incordonata, organizzata e compatta ha espresso e rappresentato la rabbia e l’odio verso lo Stato e il Capitale. Agli opinionisti della domenica lasciamo la briga di credersi nel giusto e nella legalità; noi, invece, ci riprendiamo con furia e determinazione la dignità toltaci da troppo tempo da questa società classista e dal suo lusso provocatore. “Di sconfitta in sconfitta fino alla vittoria finale” [Rosa Luxemburg].

Solidarietà incondizionata agli arrestati e ai fermati.

Onore a tutt* i/le compagn* presenti quel giorno.

A Milano c’eravamo tutt*!

[Di qui l’analisi ottima sulla giornata del primo Maggio di Infoaut.org]

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